L'ottavariu de' i morti

Va a dì oggi
a n'givine de quissi
d'arzasse
a' e tre de notte
pe' j' n'chiesa!
E' grassu che cola
se ce vannu a mezzugiorno!
Ma, na' vòta
all'ottavariu de' i morti
Sarocco
era n'pipinaru de munelli.
N'pipinaru de chierichitti
che,
n'mezzu a i fratelluni
parivenu pucini!
Pucini 'ntorno a'bbiocca:
a Monsignore!
                                                                 AGOSTINO STELLANI



LA TECNICA (3)
Tradizionalmente questi dipinti sono definiti " succhi d'erba ". Con tale denominazione venivano indicate delle pitture imitanti gli arazzi eseguite con colori di origine vegetale ad acqua su tessuti di lino o di seta, senza preparazione e senza agglutinati. Questa moda introdotta probabilmente dalla Francia e da pittori che eseguivano cartoni per arazzi, si diffuse a partire dalla seconda metà del '600. Per la trasparenza dei colori, derivata dalla scarsità del legante, che dà ai dipinti eseguiti con questa tecnica l'aspetto di acquarelli, i "succhi d'erba" ebbero molto successo anche nel '700, specialmente nella decorazione di tappezzerie, scene teatrali e addobbi festivi di chiese e palazzi. Assai meno costosi degli arazzi, i "succhi d'erba" si prestavano a sostituirli in molte occasioni. Pittori celebri come il Romanelli, il Maratta, L.Baldi, G: Giminiani e G: Chiari occasionalmente utilizzarono questa tecnica su supporti di lino o di seta.
Molti artisti se ne servirono per colorire i modelli o i cartoni per i loro dipinti, in alternanza alle tempere. Documenti d'archivio ci danno i nomi di "specialisti" del genere, come il "modenesimo" attivo per Flavio Chigi e Anasio De Barba, autore delle tappezzerie dipinte nella sala centrale di Villa  Aldobrandini a Frascati. Le fonti (Pio, Pascoli) menzionano come specialista celebre anche uno dei prestanome di M.Benefial, Filippo Cermisoni; un erudito; collezionista di stampe e disegni, di cultura marattesca, le cui opere nel genere sono però andate perdute.
La denominazione si è estesa impropriamente a indicare dipinti su tela eseguiti con colori stemperati in un medium gommoso, che sono quasi certamente i più frequenti. L'individuazione di un colore vegetale anche con strumenti e metodologie attuali è d'altra parte molto difficile, perché questi colori si ossidano a contatto con l'ossigeno dell'aria; altrettanto difficile è il prelievo di un campione di colore che sia sufficiente per una analisi del legante.



LA CONFRATERNITA  E  L’USO  DELLE   SACRE   RAPPRESENTAZIONI (4)

La Confraternita fu istituita nel 1695 da una << Pia adunanza>>  di cittadini guidati dallo spagnolo  G. Martinez de La Raga , protonotario apostolico e  riuscì ad ottenere nello stesso anno la aggregazione all’ Arciconfraternita della Morte e Orazione di Roma .

Scopo e compito precipuo delle Confraternite della Morte esistenti in tutta
Italia dalla metà del 500, era la sepoltura dei morti, specialmente di quelli rinvenuti abbandonati e sconosciuti nelle campagne.
 A questa  << opera di misericordia >> (un servizio sociale al quale in quei
 tempi si poteva provvedere altrimenti solo in forma privata ) la confraternita
associativa la pratica religiosa del suffragio per le Anime del Purgatorio e
 l’ Adorazione del SS Sacramento.
Si svolgevano infatti a cura della Confraternita, che contava su un cospicuo patrimonio di elemosine e lasciti, le celebrazioni dell’ Ottavario dei morti,
in occasione delle quali venivano anche eseguiti oratori  musicali, catafalchi artistici, e sacre rappresentazioni. Della solennità di queste funzioni abbiamo notizia dai verbali della Arciconfraternita romana di via Giulia (mancando i documenti relativi nell’ Archivio della Confraternita frascatana che fu gravemente danneggiato da un incendio nel secolo scorso). Per l’Ottavario dei Morti il due novembre del 1627 <<si dette principio all’ ottava solita della festa dei morti la quale fu fatta con gran solennità, sì di sermoni come di musiche belle e gran concorso di popolo ogni  sera sino alle tre Hore, e per quantità di lumi, e festa tale che poche se ne sono fatte simili a questa a gloria del
Signor Nostro >>.

E a proposito delle rappresentazioni allestite per l’adorazione del
Sacramento nel 1646  : << Furono fatti … a spese di  Mons. Durazzo
 nostro governatore e dei signori Pietro della Valle, Marzio Altieri,
Ottavio Lupi nostri guardiani li sermoni in chiesa tutta apparata  di nero
da’ riversi e la porta della chiesa, e fatta una prospettiva che teneva tutta
la tribuna dell’altar Maggiore, di nuvole e angioli con lampade dietro sino
sotto la soffitta di tavole dipinte, con buonissime musiche
 rappresentando ogni dì li sottonotati misteri, e cantato in musiche dialoghi
 concertenti al misterio che si faceva quel giorno … il primo di fu rappresentato
Cristo orante nell’orto con gli apostoli fatti in figura di tavole in prospettiva
con le lampade dietro per illuminare … il terzo dì… fu rappresentato
l’Ecce Homo quando lo mostrano al popolo sopra una ringhiera, che
dentro appariva una stanza apparata … e molte figure in tavola …e
in mezzo alle tavole era una gloria d’angeli con il SS. Sacramento …>>.

Da questo tipo di celebrazioni, che trasformavano tutta la chiesa in un grande apparato teatrale con musiche luci, esaltando i sensi del visitatore e coinvolgendolo interamente nella rappresentazione del mistero che aveva il suo punto focale nella tribuna dell’altare maggiore , hanno origine nel ‘700,  le più modeste sacre rappresentazioni allestite nell’oratorio della Confraternita che abbiamo già ricordato.

Il ciclo di Frascati, per la sua estensione, è più simile all’apparato seicentesco che occupava tutta la chiesa, mentre nelle singole scene riproduce il “teatrino“ settecentesco .

Dall’anno di fondazione al 1703 la Confraternita della Morte e Orazione di Frascati svolse la sua attività presso la Chiesa di S. Maria in Vivario; in quel anno ebbe assegnata come sede la chiesina di S. Gregorio. Nel 1731 la Confraternita tornò definitivamente da S. Maria in Vivario stabilendovi il proprio vestiario e il deposito delle attrezzature.

 

 

IL RESTAURO (5)

I due dipinti della serie, oggetto di questo intervento di restauro, non venivano esposti da molti anni a causa del pessimo stato di conservazione. Lungo i margini e sopratutto in quello inferiore presentavano grandi lacerazioni, con perdita di tessuto e di colore dovute all'azione dei roditori; inoltre grandi tagli suturati all'interno, tracce di bruciature , macchie di cera, decolorazioni e gore provocate da scolatura di acque. Essi erano stati già restaurati in passato, con applicazioni di toppe incollate in corrispondenza di più antiche lacerazioni. Data la delicatezza dei pigmenti si è dovuto procedere a una iniziale aspirazione della polvere e a una pulitura mediante tamponamento e polverizzazione di acqua distillata dopo aver disteso la tela su numerosi strati di carta filtro per assorbire lo sporco. Sulla macchie e le gore sono stati applicati impacchi di pasta di cellulosa imbevuta di un tensioattivo (Desogen).

Caratteristiche del dipinto a "succhi d'erba" sono la flessibilità del supporto, che una foderatura tende a ridurr, e lo spessore minimo del tessuto che una tensione localizzata deforma molto facilmente. Volendo conservare tali caratteristiche il dipinto non dovrebbe essere foderato ma solo risarcito o ritessuto in corrispondenza delle lacune; e non dovrebbe essere più sospeso. In questo caso presentandosi il tessuto a brandelli nel margine inferiore e variamente lacerato all'interno, per riconnettere insieme i vari pezzi una foderatura è apparsa necessaria. E' stata eseguita con una sottile tela di lino a colla d'amido rettificata come si sarebbe fatto per un acquarello. Alla colla è stato aggiunto un biocida contro gli attacchi di microorganismi. Il tessuto va ora conservato arrotolato su un rullo piuttosto che piegato. Nel restauro precedente, l'operatore si era preoccupato di ritagliare i bordi degli strappi della tela in modo che la loro sagoma seguisse i contorni delle immagini e, per integrare le mancanze, aveva applicato delle toppe usando ritagli di una tela dipinta anch'essa a <<  succo d'erba >>,  probabilmente della stessa serie. I contorni troppo netti delle lacune e lo stesso carattere storico del restauro ci hanno consigliato di riutilizzare, per quanto possibile, le vecchie integrazioni, reinserendole all'interno delle parti mancanti al momento della foderatura in modo da ottenere una tensione omogenea.





Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma
Comune di Frascati
Azienda autonoma di Soggiorno e Turismo del Tuscolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


di
Almamaria Tantillo Mignosi
 

GLI ARAZZI DIPINTI
 DELLA CONFRATERNITA DELL’ORAZIONE
 E MORTE NELLA CHIESA DI
 S. MARIA IN VIVARIO A FRASCATI
 

 
 

Storia e restauro (1)

La duplice serie di tele con storie di Giuseppe Ebreo e del figlio Prodigo,che si espone per l’Ottavario dei Morti nella chiesa di S. Maria in Vivario di Frascati,è uno dei rari esempi di apparati celebrativi religiosi e settecenteschi che sia giunto a noi ancora integro.

Le tele fanno parte di quel genere di pitture,chiamate “arazzi dipinti” o “succhi d’erba”,che ebbero una grande diffusione dalla seconda metà del ‘600 in relazione alla larghissima produzione di dipinti celebrativi per funzioni religiose.

Si trattava di dipinti che si esponevano per un tempo limitato
 all’interno di una chiesa in occasione delle solennità per
particolari ricorrenze; la loro funzione si esauriva in genere allo scadere
 della celebrazione ed era quindi simile a quella degli attuali manifesti.

Per la leggerezza e la flessibilità del supporto, questi manufatti si prestavano ad essere esposti,senza telaio o cornice (semplicemente appesi) e ad essere riposti , dopo l’uso, arrotolati o piegati.

La funzione a cui erano destinati e le stesse caratteristiche tecniche non ne prevedevano una lunga conservazione; si tratta infatti di prodotti reperibilissimi,sia per la fragilità del supporto,sia per la delicatezza dei colori,che si alterano se esposti alla luce.

Ecco perché della vastissima produzione di apparati di questo genere e della altrettanto estesa produzione di tappezzerie e arazzi per usi profani eseguiti con la stessa tecnica,pochissimi sono giunti fino a noi.

Dal punto di vista tipologico, la serie di Frascati si può classificare nella categoria  degli addobbi festivi: una sorta di manifesto della Confraternita della Morte e Orazione, nel periodo in cui era incaricata della celebrazione delle funzioni.

Nello stesso tempo, i dipinti che la compongono sono in rapporto strettissimo con le c.d. sacre rappresentazioni che la stessa  Confraternità , a somiglianza di molte altre, allestiva dal 700 in S.  Maria della Morte e Orazione di Roma nella ricorrenza annuale.

Tali rappresentazioni,che traevano origine dall’ oratorio seicentesimo si erano trasformati in piccoli teatri a scena fissa, in cui si illustrava un episodio biblico o evangelico con personaggi dipinti su sagome di legno ritagliate, disposti a mo’ di quinta contro uno sfondo di tela illuminato in trasparenza ; un arco di  proscenio, di legno ornato di drappi, recava sulla sommità una targa in cui era inscritto un motto allusivo all’ episodio rappresentato.

L’affinità con lo schema dei dipinti di Frascati è evidente.

La serie di tele di S. Maria in Vivario, che riveste tutto l’interno della chiesa , ha finito con l’acquistare il carattere di una decorazione dell’ edificio, sia pure per un tempo limitato. 

In virtù di una tradizione ininterrotta che ne ha fatto un oggetto rituale, non è incorsa nella rovina a cui la sua stessa struttura la predisponeva.

Per la sua completezza essa è dunque un documento figurativo di eccezionale interesse (e una rara testimonianza di storia della pietà).

Si è lieti di aver contribuito, col restauro delle due tele più danneggiate, che da quasi un secolo non erano più esposte, a ricostituire l’integrità del contesto figurativo, che può così essere ripresentato nella sua interezza.


GLI ARAZZI   (2)

Per la chiesa di S.Maria in Vivario è stata eseguita la serie delle tele che ancora vi si espongono; le loro misure infatti corrispondono esattamente a quelle delle centine degli archi delle campate delle navate laterali: l’addobbo si estende anche ai semipilastri, che vengono coperti con strisce di tela sormontate da capitelli dipinti. Vi sono  raffigurati candelabre con insegne del potere ecclesiastico e elementi dell’arredo liturgico.

La serie consta di 11 episodi:

5 di essi rappresentano le vicende salienti della parabola del Figliol Prodigo ( Luca, cap. XV, 11-32);
6 si riferiscono alla storia biblica di Giuseppe.

Un breve motto, tratto dal testo evangelico o biblico, è inscritto nella targa che sovrasta la chiave dell’ arco.

I dipinti raffigurano i seguenti momenti della storia evangelica:

1) Il prodigo esige dal padre la sua parte di averi
    (nella targa: << Da mihi partianrm>>);
2) Dissipa i suoi averi
    (nella targa: << Et dissipavit>>);
3) Guardiano di maiali, ha l’ispirazione di tornare dal padre
    (nella targa << Surgam et ibo>> );
4) Il ritorno dal Padre
    ( nella targa: << Et revixit >>);
5) Mentre si prepara la festa, il padre placa il risentimento del figlio maggiore  ( nella targa: <<Gaudere oportebat>>).

In sei quadri è riassunta la lunga vicenda di Giuseppe, da quando, estratto dal pozzo , viene venduto ai mercanti dai fratelli
(Genesi, 37, 28) col motto<< Extrahentes eum >>) 
a quando, perdonati e accolti i fratelli, li ammette a godere, insieme  al padre, del suo benessere e dà loro il sostentamento
(nella targa << Et elabat oes >>,  Gen. 47, 12).

 Sono rappresentati di seguito, questi episodi:

 Giuseppe in carcere, interpretati i sogni dei suoi compagni, chiede a quello che viene liberato di ricordarsi di lui
( col motto << Memento mei >> , Gen. 40, 14);

Giuseppe ordina ai fratelli di condurgli il fratello più giovane
(nella targa<< Eductis de carcere>>, Gen. 42,18);

Giacobbe si accomiata da Beniamino
( nella targa <<Fratrem vestrum tollite>>, Gen.43,13);

Giacobbe si trasferisce in Egitto con la famiglia
 ( nella targa<< Venit in Aegyptum>>, Gen.46,6).

I motti, brevissimi, riassumono il significato degli episodi, che non hanno quindi un valore illustrativo, ma presuppongono un tempo di sosta e di riflessione. Si tratta di due vicende parallele di riconciliazione. L’Ottavario e un’occasione di catechesi,e i due cicli sono una metafora della vita umana.

Presiedono ad ogni scena, accanto alle imposte dell’arco, due scheletri in posa, ammonimento a chi guarda, e simbolo di un comune destino che solo l’amore divino può riscattare, in una prospettiva di riconciliazione e di salvezza.

La ripetizione di questo macabro motivo a cui però l’atteggiamento teatrale conferisce una sfumatura mondana, caratterizza tutta la serie.

Tematica e iconografia sono in stretto rapporto con le rappresentazioni della confraternita romana (che più di una volta illustrò la storia di Giuseppe).

Ma a differenza di queste, che si limitavano ad un solo episodio, la serie dei dipinti frascatani è una sequenza di rappresentazioni che si svolge in tutta la chiesa. Le tele diventano parte integrante dell’architettura, assimilabili più ad un ciclo di affreschi che ad arazzi.

Ne deriva un travestimento completo dell’interno dell’edificio, che sappiamo essere in quegli anni, povero e fatiscente tanto da richiedere ripetuti interventi di restauro. In occasione dell’Ottavario la chiesa diventa suggestiva e piacevole.

Le prospettive dipinte, le cornici degli archi e il basamento di ogni scena sono eseguiti con la sapienza costruttiva di uno scenografo. Concorrono quindi a realizzare l’omogeneità dell’effetto di insieme non meno della tecnica con colori chiari e sfumati che impone una semplificazione del disegno e una riduzione dei contrasti chiariscurali.

Negli archivi della Confraternita non si trova alcuna notizia che riguardi questo apparato. Non ne conosciamo dunque ne la data ne il committente, ne l’autore, o meglio gli autori, perché è evidente che, pur nell’ambito di una stessa scuola, gli artisti sono più d’uno.

E’ fuori questione che si è trattato di una commissione di una certa importanza ed  è un peccato che si ignorino le circostanze in cui fu fatta. Fu infatti una chiamata a raccolta di artisti vari, in cui è però riconoscibile l’impronta unificante determinata dalla comune base culturale e dalle stesse esigenze funzionali del ciclo pittorico. Secondo il costume del tempo, possiamo immaginare che la Confraternita o il cardinale protettore, a titolo privato stabilito il tema, richiedesse i modelli o i bozzetti ad una impresa o più imprese di artisti; i quali, ottenuto l’incarico, avessero chiamato a tradurli nella versione definitiva le loro botteghe, curando la realizzazione del lavoro. Si spiega così, all’interno delle singole scene, la differenza qualitativa che si nota tra le diverse parti.

Dal punto di vista stilistico i dipinti presentano una caratteristica con presenza di forme e tipologie secentesche, all’interno di uno schema classicheggiante e calibrato che conferisce all’insieme un carattere omogeneo. Vi si accompagnano una intonazione sentimentale nei volti e nelle espressioni ed un carattere arcadico nei paesaggi.
 

Da quanto si è detto intorno all’origine di questo genere di dipinti risulta chiaro che essi si inseriscono in una tradizione strettamente collegata, anche per la tecnica, a quella della produzione degli arazzi e dei relativi cartoni preparatori. Un’attività che a Roma , alla metà del ‘600, ebbe il suo  maggiore rappresentante in P. Romanelli (autore di numerose pitture a <<succhi d’erbe>>) e nei pittori che lavoravano per l’arazzeria dei Barberini. I riferimenti così presenti al Romanelli, sembrerebbero quasi d’obbligo e sono più attinenti al genere , che aveva già una sua consolidata tradizione figurativa, che all’ambito degli artisti , la cui cultura appare invece una cultura settecentesca.

Sia per l’impostazione spaziale, sia per il gusto del racconto, in cui la retorica dei gesti e il vigore plastico si stemperano in una garbata grazia di atteggiamenti e in un soffuso pittoricismo, i dipinti di Frascati sono infatti databili tra il secondo e il quarto decennio del ‘700. Sono gli anni in cui diverse generazioni di artisti, formatisi nella scuola di Carlo Maratti leader indiscusso della pittura romana a cavallo dei due secoli, e nello studio dei classici che egli proponeva (Raffaello, i Bolognesi, il Sacchi), veniva trasformando il linguaggio dell’ultimo barocco e tralasciava il tono severo delle composizioni accademiche ed il repertorio dei grandi gesti per rendere più aggraziate e accattivanti le forme (è lo stile che viene definito <<barocchetto>>) o per ricercare una maggiore adesione alla evidenza e al significato del fatto rappresentato.

E’ un periodo di transizione e la gamma delle possibilità espressive, nell’ambito di una comune tradizione è varia ed estesa. I pittori di maggiore successo di questa tendenza sono Giuseppe Chiari e Andrea Procaccino e, poco più tardi, A.Masucci. Una posizione di rilievo ha anche il più tradizionale G. Garzi. Ad essi si affianca un gran numero di artisti meno noti, attivi nella vasta produzione decorativa ed illustrativa, che la società del tempo richiedeva per gli interni delle abitazioni, le rappresentazioni teatrali o le cerimonie religiose. La stessa ampiezza della richiesta  favoriva la diffusione di standards figurativi su una comune cultura accademica e su un repertorio di forme praticamente inesauribili, in cui è difficile distinguere le singole personalità.

Nei pittori del ciclo di Frascati si trovano rappresentate e talvolta intrecciate insieme le tendenze figurative di quegli anni. Tutti si collegano agli esiti dell’ultimo marattismo.

E’ vicino allo stile del Chiari, allievo di C. Maratti, l’artista più importante del gruppo a cui si possono attribuire la scena del
 << Figliol prodico che pascola i maiali >> ( Surgam et ibo), l’episodio di << Giuseppe in carcere>> e quello della << Accoglienza di Giuseppe ai fratelli>> (Et alebat eos); Egli da alla composizione un impianto monumentale, sostenuto da un disegno vigoroso e raffinato e da un abile chiaroscuro.

In un clima più accentuatamente roccocò sembra situarsi il più singolare e spigliato di questi pittori, quello che ha dipinto la scena di << Giuseppe venduto ai Mercanti >>, il << Figliol prodigo che sperpera i suoi averi >> e forse anche l’ultimo episodio della parabola del figliol prodico; E’ un artista brillante, che dimostra una particolare sensibilità nell’uso dei colori e realizza con poche pennellate e graduando lo spessore del segno di contorno le vibrazioni della luce sui rilievi.

Il più tradizionale che è anche il più incero nel disegno si ritrova nelle scene con << Giuseppe che minaccia i fratelli>>, nel <<Addio di Giacobbe a Beniamino>> e nel << Ritorno del Figliol prodico>>. Egli richiama lo stile del Garzi, ma dimostra un gusto più spiccatamente settecentesco negli atteggiamenti languidi delle figure e nella chiarità sfumata dei colori. E’ forse lo stesso artista che nel primo episodio della parabola del Figliol prodico (dove vie è una citazione precisa da Guido Reni nel ragazzo che presenta il cofanetto) incentra abilmente la scena e sulla figura e sul gesto del padre addolorato, a cui si contrappone la figura del Figliol prodico, un elegantissimo damerino in stivali e cappello piumato, pronto alla partenza come dimostra, sullo sfondo delineato da una fuga di edifici, la figura del servo che tiene per le redini un brioso cavallino. L’esperienza del teatro settecentesco è evidente negli sfondi come nella drammatizzazione dell’episodio.

E’ difficile infine dire chi di questi artisti ha rappresentato il fantasioso <<Esodo di Giacobbe>> che sembra attingere per la composizione direttamente alle illustrazioni di bibbie cinquecentesche. C'è infatti, alimentato dalla impresa comune, un continuo scambio di esperienze.
Tutti gli artisti dimostrano in vario grado di sapere accordare, con diverso valore costruttivo o pittorico, le caratteristiche della tecnica dei colori ad acqua al mezzo grafico. I dipinti sono dei grandi disegni colorati: un tratteggio delicato sfuma i contorni e delinea le ombre, pochi tocchi di colore contro lo sfondo della tela sono sufficienti a suscitare il rilievo del modellato o a suggerire le distanze.
La riduzione dei contrasti chiaroscurali, che è una conseguenza della tecnica di esecuzione, viene sfruttata per raggiungere una chiarità diffusa e una modulazione delicata, che riconduce su un solo piano la figurazione. Queste caratteristiche fanno pensare, più in particolare, a una datazione tra il terzo e il quarto decennio del secolo quando la stagione del barocchetto romano era al tramonto e, ed era in atto una nuova ripresa del classicismo, con motivazioni che i nostri artisti, per i loro limiti di scuola, potevano percepire soltanto sul piano del gusto e della moda. Si sarebbe così intorno al 1730, quando la Confraternita riprese definitivamente sede a S. Maria in Vivario.