GLI ARAZZI
(2)
Per la chiesa di S.Maria in
Vivario è stata eseguita la serie delle tele che ancora vi si
espongono; le loro misure infatti corrispondono esattamente a quelle
delle centine degli archi delle campate delle navate laterali:
l’addobbo si estende anche ai semipilastri, che vengono coperti con
strisce di tela sormontate da capitelli dipinti. Vi sono raffigurati
candelabre con insegne del potere ecclesiastico e elementi dell’arredo
liturgico.
La serie consta di 11 episodi:
5 di essi rappresentano le
vicende salienti della parabola del Figliol Prodigo
( Luca, cap. XV, 11-32);
6 si riferiscono alla
storia biblica di Giuseppe.
Un breve motto, tratto dal testo
evangelico o biblico, è inscritto nella targa che sovrasta la chiave
dell’ arco.
I dipinti raffigurano i seguenti
momenti della storia evangelica:
1) Il prodigo esige dal padre la
sua parte di averi
(nella targa: << Da mihi partianrm>>);
2) Dissipa i suoi averi
(nella targa: << Et dissipavit>>);
3) Guardiano di maiali, ha l’ispirazione di tornare dal padre
(nella targa << Surgam et ibo>> );
4) Il ritorno dal Padre
( nella targa: << Et revixit >>);
5) Mentre si prepara la festa, il padre placa il risentimento del
figlio maggiore ( nella targa: <<Gaudere oportebat>>).
In sei quadri è riassunta la
lunga vicenda di Giuseppe, da quando, estratto dal pozzo , viene
venduto ai mercanti dai fratelli
(Genesi, 37, 28) col motto<< Extrahentes eum >>)
a quando, perdonati e accolti i fratelli, li ammette a godere, insieme
al padre, del suo benessere e dà loro il sostentamento
(nella targa << Et elabat oes >>, Gen. 47, 12).
Sono rappresentati di seguito,
questi episodi:
Giuseppe in carcere,
interpretati i sogni dei suoi compagni, chiede a quello che viene
liberato di ricordarsi di lui
( col motto << Memento mei >> , Gen. 40, 14);
Giuseppe ordina ai fratelli di
condurgli il fratello più giovane
(nella targa<< Eductis de carcere>>, Gen. 42,18);
Giacobbe si accomiata da
Beniamino
( nella targa <<Fratrem vestrum tollite>>, Gen.43,13);
Giacobbe si trasferisce in Egitto
con la famiglia
( nella targa<< Venit in Aegyptum>>, Gen.46,6).
I motti, brevissimi, riassumono
il significato degli episodi, che non hanno quindi un valore
illustrativo, ma presuppongono un tempo di sosta e di riflessione. Si
tratta di due vicende parallele di riconciliazione. L’Ottavario e
un’occasione di catechesi,e i due cicli sono una metafora della vita
umana.
Presiedono ad ogni scena, accanto
alle imposte dell’arco, due scheletri in posa, ammonimento a chi
guarda, e simbolo di un comune destino che solo l’amore divino può
riscattare, in una prospettiva di riconciliazione e di salvezza.
La ripetizione di questo macabro
motivo a cui però l’atteggiamento teatrale conferisce una sfumatura
mondana, caratterizza tutta la serie.
Tematica e iconografia sono in
stretto rapporto con le rappresentazioni della confraternita romana
(che più di una volta illustrò la storia di Giuseppe).
Ma a differenza di queste, che si
limitavano ad un solo episodio, la serie dei dipinti frascatani è una
sequenza di rappresentazioni che si svolge in tutta la chiesa. Le tele
diventano parte integrante dell’architettura, assimilabili più ad un
ciclo di affreschi che ad arazzi.
Ne deriva un travestimento
completo dell’interno dell’edificio, che sappiamo essere in quegli
anni, povero e fatiscente tanto da richiedere ripetuti interventi di
restauro. In occasione dell’Ottavario la chiesa diventa suggestiva e
piacevole.
Le prospettive dipinte, le
cornici degli archi e il basamento di ogni scena sono eseguiti con la
sapienza costruttiva di uno scenografo. Concorrono quindi a realizzare
l’omogeneità dell’effetto di insieme non meno della tecnica con colori
chiari e sfumati che impone una semplificazione del disegno e una
riduzione dei contrasti chiariscurali.
Negli archivi della Confraternita
non si trova alcuna notizia che riguardi questo apparato. Non ne
conosciamo dunque ne la data ne il committente, ne l’autore, o meglio
gli autori, perché è evidente che, pur nell’ambito di una stessa
scuola, gli artisti sono più d’uno.
E’ fuori questione che si è
trattato di una commissione di una certa importanza ed è un peccato
che si ignorino le circostanze in cui fu fatta. Fu infatti una
chiamata a raccolta di artisti vari, in cui è però riconoscibile
l’impronta unificante determinata dalla comune base culturale e dalle
stesse esigenze funzionali del ciclo pittorico. Secondo il costume del
tempo, possiamo immaginare che la Confraternita o il cardinale
protettore, a titolo privato stabilito il tema, richiedesse i modelli
o i bozzetti ad una impresa o più imprese di artisti; i quali,
ottenuto l’incarico, avessero chiamato a tradurli nella versione
definitiva le loro botteghe, curando la realizzazione del lavoro. Si
spiega così, all’interno delle singole scene, la differenza
qualitativa che si nota tra le diverse parti.
Dal punto di vista stilistico i
dipinti presentano una caratteristica con presenza di forme e
tipologie secentesche, all’interno di uno schema classicheggiante e
calibrato che conferisce all’insieme un carattere omogeneo. Vi si
accompagnano una intonazione sentimentale nei volti e nelle
espressioni ed un carattere arcadico nei paesaggi.
Da quanto si è detto
intorno all’origine di questo genere di dipinti risulta chiaro che essi
si inseriscono in una tradizione strettamente collegata, anche per la
tecnica, a quella della produzione degli arazzi e dei relativi cartoni
preparatori. Un’attività che a Roma , alla metà del ‘600, ebbe il suo
maggiore rappresentante in P. Romanelli (autore di numerose pitture a
<<succhi d’erbe>>) e nei pittori che lavoravano per l’arazzeria dei
Barberini. I riferimenti così presenti al Romanelli, sembrerebbero quasi
d’obbligo e sono più attinenti al genere , che aveva già una sua
consolidata tradizione figurativa, che all’ambito degli artisti , la cui
cultura appare invece una cultura settecentesca.
Sia per
l’impostazione spaziale, sia per il gusto del racconto, in cui la
retorica dei gesti e il vigore plastico si stemperano in una garbata
grazia di atteggiamenti e in un soffuso pittoricismo, i dipinti di
Frascati sono infatti databili tra il secondo e il quarto decennio del
‘700. Sono gli anni in cui diverse generazioni di artisti, formatisi
nella scuola di Carlo Maratti leader indiscusso della pittura romana a
cavallo dei due secoli, e nello studio dei classici che egli proponeva
(Raffaello, i Bolognesi, il Sacchi), veniva trasformando il linguaggio
dell’ultimo barocco e tralasciava il tono severo delle composizioni
accademiche ed il repertorio dei grandi gesti per rendere più aggraziate
e accattivanti le forme (è lo stile che viene definito <<barocchetto>>)
o per ricercare una maggiore adesione alla evidenza e al significato del
fatto rappresentato.
E’ un periodo di
transizione e la gamma delle possibilità espressive, nell’ambito di una
comune tradizione è varia ed estesa. I pittori di maggiore successo di
questa tendenza sono Giuseppe Chiari e Andrea Procaccino e, poco più
tardi, A.Masucci. Una posizione di rilievo ha anche il più tradizionale
G. Garzi. Ad essi si affianca un gran numero di artisti meno noti,
attivi nella vasta produzione decorativa ed illustrativa, che la società
del tempo richiedeva per gli interni delle abitazioni, le
rappresentazioni teatrali o le cerimonie religiose. La stessa ampiezza
della richiesta favoriva la diffusione di standards figurativi su una
comune cultura accademica e su un repertorio di forme praticamente
inesauribili, in cui è difficile distinguere le singole personalità.
Nei pittori del
ciclo di Frascati si trovano rappresentate e talvolta intrecciate
insieme le tendenze figurative di quegli anni. Tutti si collegano agli
esiti dell’ultimo marattismo.
E’ vicino allo stile
del Chiari, allievo di C. Maratti, l’artista più importante del gruppo a
cui si possono attribuire la scena del
<< Figliol prodico che pascola i
maiali >> ( Surgam et ibo), l’episodio di << Giuseppe in carcere>> e
quello della << Accoglienza di Giuseppe ai fratelli>> (Et alebat eos);
Egli da alla composizione un impianto monumentale, sostenuto da un
disegno vigoroso e raffinato e da un abile chiaroscuro.
In un clima più
accentuatamente roccocò sembra situarsi il più singolare e spigliato di
questi pittori, quello che ha dipinto la scena di << Giuseppe venduto ai
Mercanti >>, il << Figliol prodigo che sperpera i suoi averi >> e forse
anche l’ultimo episodio della parabola del figliol prodico; E’ un
artista brillante, che dimostra una particolare sensibilità nell’uso dei
colori e realizza con poche pennellate e graduando lo spessore del segno
di contorno le vibrazioni della luce sui rilievi.
Il più tradizionale
che è anche il più incero nel disegno si ritrova nelle scene con <<
Giuseppe che minaccia i fratelli>>, nel <<Addio di Giacobbe a
Beniamino>> e nel << Ritorno del Figliol prodico>>. Egli richiama lo
stile del Garzi, ma dimostra un gusto più spiccatamente settecentesco
negli atteggiamenti languidi delle figure e nella chiarità sfumata dei
colori. E’ forse lo stesso artista che nel primo episodio della parabola
del Figliol prodico (dove vie è una citazione precisa da Guido Reni nel
ragazzo che presenta il cofanetto) incentra abilmente la scena e sulla
figura e sul gesto del padre addolorato, a cui si contrappone la figura
del Figliol prodico, un elegantissimo damerino in stivali e cappello
piumato, pronto alla partenza come dimostra, sullo sfondo delineato da
una fuga di edifici, la figura del servo che tiene per le redini un
brioso cavallino. L’esperienza del teatro settecentesco è evidente negli
sfondi come nella drammatizzazione dell’episodio.
E’ difficile infine
dire chi di questi artisti ha rappresentato il fantasioso <<Esodo di
Giacobbe>> che sembra attingere per la composizione direttamente
alle illustrazioni di bibbie cinquecentesche. C'è infatti, alimentato
dalla impresa comune, un continuo scambio di esperienze.
Tutti gli artisti dimostrano in vario grado di sapere accordare, con
diverso valore costruttivo o pittorico, le caratteristiche della tecnica
dei colori ad acqua al mezzo grafico. I dipinti sono dei grandi disegni
colorati: un tratteggio delicato sfuma i contorni e delinea le ombre,
pochi tocchi di colore contro lo sfondo della tela sono sufficienti a
suscitare il rilievo del modellato o a suggerire le distanze.
La riduzione dei contrasti chiaroscurali, che è una conseguenza della
tecnica di esecuzione, viene sfruttata per raggiungere una chiarità
diffusa e una modulazione delicata, che riconduce su un solo piano la
figurazione. Queste caratteristiche fanno pensare, più in particolare, a una
datazione tra il terzo e il quarto decennio del secolo quando la
stagione del barocchetto romano era al tramonto e, ed era in atto una
nuova ripresa del classicismo, con motivazioni che i nostri artisti, per
i loro limiti di scuola, potevano percepire soltanto sul piano del gusto
e della moda. Si sarebbe così intorno al 1730, quando la Confraternita
riprese definitivamente sede a S. Maria in Vivario.
|